Giornata splendida, carica di sole estivo, il mio vicino che
si affaccia per salutarmi e chiedere dove sono stato in questi giorni, si
preoccupava perché non mi vedeva, poi le piccole cose del quotidiano come,
provvedere alla spesa per evitare che il frigo vuoto all’inverosimile, mi
rimandasse un senso di solitudine e disperazione che in questo momento proprio
non corrisponde alla mia vita, la lavatrice da mettere in moto e altro, ma sul
più bello, mentre mi appresto a uno dei
rituali più importanti della mattinata, ossia la preparazione e la posa sul
fornello della moka del caffè…una triste scoperta: la bombola del gas è
terminata! Silenzio…pensieri che svaniscono…vuoto interiore…tristezza che mi
assale e un’unica frase: “e adessooooooo”.
A parte questo che tutto sommato rende piacevole la mia
giornata, c’è un'altra riflessione o altri pensieri che mi mettono in
movimento, e spingono le mie scelte a prendere una direzione piuttosto che un'altra.
Alla radio ascolto un programma davvero interessante “Baobab” radio1,
intervistano una responsabile del centro Astali, organizzazione dei Gesuiti per
i richiedenti asilo, e scopro o meglio ascolto qualcosa che in genere non viene
resa pubblica, né approfondita, si tratta degli scafisti, di quegli uomini che
traghettano sul Mediterraneo migliaia di uomini, donne e bambini, in viaggi
infernali e carichi di morte. Io mi sono sempre immaginato uomini senza
scrupolo e senza un minimo di coscienza, accecati dai soldi e spietati; ma nella
realtà le situazioni sono sempre molto più complesse e sfumate: scopro dall’intervista
che molto spesso gli scafisti sono ragazzi poco più che adolescenti, reclutati
dai villaggi poveri di pescatori di paesi del Nord Africa, pagati spesso con un
viaggio gratis, anche loro per raggiungere una metà immaginata come la salvezza
assoluta. Ragazzini che dal senso di onnipotenza e forza, passano alla realtà
del carcere minorile, alla condanna per
traffico di uomini e sfruttamento fino all’accusa per strage. I veri carnefici
non sono mai in prima lenea, non rischiano la propria vita e la propria libertà
e visto che non hanno scrupolo, vivono questa dimensione fino in fondo, la vita
di un minore non ha valore, di fronte alla propria avidità mortifera. Mi scopro
miope, mi sento ingannato anche dalla mia poca capacità di saper leggere la
realtà, ingenuo nel dirmi che quello che vedo e sento dai racconti
giornalistici è tutta la verità; no! La violenza e la prepotenza umana non ha
limiti, i criminali sfruttano i sogni di ogni piccolo di questo mondo pur di ricavarne
il maggior numero possibile di guadagno, cercano di non pagare nemmeno gli
scafisti. E di vittime, che a loro volta rendono vittime anche altri, purtroppo
ne è pieno il nostro quotidiano, non è nemmeno necessario andare troppo
lontano.
Di fronte a questo dato di fatto che finalmente un reportage
giornalistico mette in luce, io personalmente provo rabbia, non rassegnazione,
credo che anche la nostra disinformazione è un modo per rafforzare questa trama
di potere, anche il nostro non saper guardare oltre il nostro naso è
complicità, perché rafforza una visione della realtà che è distorta, falsa e
forviante e permette a chi trama il male di restare ancora nascosti. Mettere in
luce la realtà, la complessità, far emergere la verità delle situazioni è un
vero atto civile e di trasformazione, mi obbliga a prendere posizione, mi
impedisci di correre il rischio di condannare sempre qualcuno che è comunque
vittima, permettendo al prepotente di scappare dalla porta secondaria e farla
franca. “Non possiamo essere cani muti”
diceva Charles de Foucauld di fronte a quello che vedeva rispetto alla
schiavitù nel deserto, che la sua Francia tanto tollerava, gli interessi hanno
sempre la meglio su tutti. Anche nel mio quotidiano scopro ingiustizie e spesso
mi sento impotente, ma il Vangelo che cerco di leggere e ascoltare tutti i giorni,
il silenzio che ha un posto essenziale nella mia giornata, non sono solo una
ricerca di pace interiore, al contrario il silenzio e l’ascolto della Parola in
questo quotidiano diventano la forza per non aver paura di questa storia e di
questa società, Gesù nell’esperienza dei 30 anni a Nazareth si è profondamente
mescolato a tutto questo, e quindi si è impastato, sporcato, compromesso con
tutte le contraddizioni, ma non per sostituirsi a noi, ma per essere se stesso, per essere quel “Dio con noi”
e indicarci la strada dell’umanizzazione. Spesso noi chiediamo a Dia di sostituirci
nella soluzione dei conflitti e delle violenze, mentre Lui per primo ha scelto
di scendere fino in fondo nelle pieghe nascoste della nostra umanità. Con il
Suo silenzio abita la storia di ogni uomo in profondità, mentre noi con le
nostre preghiere gli chiediamo di andare là dove noi non siamo capaci di stare.
Nazareth allora è scegliere di raggiungerlo, senza troppa paura, là dove Egli
abita da sempre: nelle contraddizioni e nelle fatiche degli uomini.
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