martedì 8 luglio 2014

Camminare sulle acque delle contraddizioni

Giornata splendida, carica di sole estivo, il mio vicino che si affaccia per salutarmi e chiedere dove sono stato in questi giorni, si preoccupava perché non mi vedeva, poi le piccole cose del quotidiano come, provvedere alla spesa per evitare che il frigo vuoto all’inverosimile, mi rimandasse un senso di solitudine e disperazione che in questo momento proprio non corrisponde alla mia vita, la lavatrice da mettere in moto e altro, ma sul più bello, mentre mi appresto a  uno dei rituali più importanti della mattinata, ossia la preparazione e la posa sul fornello della moka del caffè…una triste scoperta: la bombola del gas è terminata! Silenzio…pensieri che svaniscono…vuoto interiore…tristezza che mi assale e un’unica frase:  “e adessooooooo”.

A parte questo che tutto sommato rende piacevole la mia giornata, c’è un'altra riflessione o altri pensieri che mi mettono in movimento, e spingono le mie scelte a prendere una direzione piuttosto che un'altra. Alla radio ascolto un programma davvero interessante “Baobab” radio1, intervistano una responsabile del centro Astali, organizzazione dei Gesuiti per i richiedenti asilo, e scopro o meglio ascolto qualcosa che in genere non viene resa pubblica, né approfondita, si tratta degli scafisti, di quegli uomini che traghettano sul Mediterraneo migliaia di uomini, donne e bambini, in viaggi infernali e carichi di morte. Io mi sono sempre immaginato uomini senza scrupolo e senza un minimo di coscienza, accecati dai soldi e spietati; ma nella realtà le situazioni sono sempre molto più complesse e sfumate: scopro dall’intervista che molto spesso gli scafisti sono ragazzi poco più che adolescenti, reclutati dai villaggi poveri di pescatori di paesi del Nord Africa, pagati spesso con un viaggio gratis, anche loro per raggiungere una metà immaginata come la salvezza assoluta. Ragazzini che dal senso di onnipotenza e forza, passano alla realtà del carcere minorile,  alla condanna per traffico di uomini e sfruttamento fino all’accusa per strage. I veri carnefici non sono mai in prima lenea, non rischiano la propria vita e la propria libertà e visto che non hanno scrupolo, vivono questa dimensione fino in fondo, la vita di un minore non ha valore, di fronte alla propria avidità mortifera. Mi scopro miope, mi sento ingannato anche dalla mia poca capacità di saper leggere la realtà, ingenuo nel dirmi che quello che vedo e sento dai racconti giornalistici è tutta la verità; no! La violenza e la prepotenza umana non ha limiti, i criminali sfruttano i sogni di ogni piccolo di questo mondo pur di ricavarne il maggior numero possibile di guadagno, cercano di non pagare nemmeno gli scafisti. E di vittime, che a loro volta rendono vittime anche altri, purtroppo ne è pieno il nostro quotidiano, non è nemmeno necessario andare troppo lontano. 

Di fronte a questo dato di fatto che finalmente un reportage giornalistico mette in luce, io personalmente provo rabbia, non rassegnazione, credo che anche la nostra disinformazione è un modo per rafforzare questa trama di potere, anche il nostro non saper guardare oltre il nostro naso è complicità, perché rafforza una visione della realtà che è distorta, falsa e forviante e permette a chi trama il male di restare ancora nascosti. Mettere in luce la realtà, la complessità, far emergere la verità delle situazioni è un vero atto civile e di trasformazione, mi obbliga a prendere posizione, mi impedisci di correre il rischio di condannare sempre qualcuno che è comunque vittima, permettendo al prepotente di scappare dalla porta secondaria e farla franca. “Non possiamo essere cani muti” diceva Charles de Foucauld di fronte a quello che vedeva rispetto alla schiavitù nel deserto, che la sua Francia tanto tollerava, gli interessi hanno sempre la meglio su tutti. Anche nel mio quotidiano scopro ingiustizie e spesso mi sento impotente, ma il Vangelo che cerco di leggere e ascoltare tutti i giorni, il silenzio che ha un posto essenziale nella mia giornata, non sono solo una ricerca di pace interiore, al contrario il silenzio e l’ascolto della Parola in questo quotidiano diventano la forza per non aver paura di questa storia e di questa società, Gesù nell’esperienza dei 30 anni a Nazareth si è profondamente mescolato a tutto questo, e quindi si è impastato, sporcato, compromesso con tutte le contraddizioni, ma non per sostituirsi a noi, ma per  essere se stesso, per essere quel “Dio con noi” e indicarci la strada dell’umanizzazione. Spesso noi chiediamo a Dia di sostituirci nella soluzione dei conflitti e delle violenze, mentre Lui per primo ha scelto di scendere fino in fondo nelle pieghe nascoste della nostra umanità. Con il Suo silenzio abita la storia di ogni uomo in profondità, mentre noi con le nostre preghiere gli chiediamo di andare là dove noi non siamo capaci di stare. Nazareth allora è scegliere di raggiungerlo, senza troppa paura, là dove Egli abita da sempre: nelle contraddizioni e nelle fatiche degli uomini.


Nessun commento:

Posta un commento