Mi posso solo avvicinare il più possibile alla storia e al
vissuto delle persone che incontro, posso discretamente percepire quello che
sentono nel loro profondo, scoprire qualche piccolo segno, gesto o espressione
che viene usata, anche involontariamente,
per comunicare un vissuto, ma mai potrò veramente andare fono in fondo nella
condivisione di vita, in questo solo Dio è capace di mettere la sua tenda nell’intimità
più profonda di una persona, magari là dove lei stessa non è capace di entrare.
E’ certo e ne sono sempre più consapevole, che è difficile entrare nella parte
più intima di noi, per paura di incontrare ciò che non accettiamo, per timore
di non riconoscerci, ma anche perché spesso releghiamo le nostre fatiche nelle
stanze più segrete; eppure quelle stanze
Dio le abita da sempre. In queste settimane in cui tante sono state le
situazioni che ho ascoltato, incontrato e accolto, ho sentito la necessità
anche di prendere distanza da queste “stanze segrete” così cariche di
sofferenza e vissuti compromessi, di mettere una barriera che mi proteggesse
dai racconti più forti, ho appreso lentamente a salvaguardare i miei confini
senza sentirmi in colpa, ma accogliendo la mia fragilità, il mio limite,
sapendo che ciò che conta è il saper affiancare il cammino dell’altro, non l’espressione
della mia onnipotenza e onnipresenza. Nei giorni di silenzio e solitudine o
semplicemente di riposo, scopro che questa “presa di distanza” non è un
allontanarsi, ma un avvicinarsi in profondità, un lasciare vibrare il riflesso
dell’altro nella mia storia personale e questo mi trasforma e trasforma le
relazioni. C’è un silenzio di tomba nel venerdì santo, che purtroppo abbiamo
caricato spesso di espressioni barocche della sofferenza, di banalizzazioni
rituali, di messe in scena dal dubbio gusto che hanno avuto solo il demerito di
svuotare di senso il Vangelo, oggi di fronte alla complessità della vita
sociale, del disagio che sempre più si manifesta palesemente nei vissuti e nei quotidiani
di tante persone, il silenzio di tomba del Venerdì Santo si carica di un
significato ben più dirompente; Gesù
sceglie, nella coerenza più totale alla realtà di Dio Padre, di condividere
tutto con il genere umano: paga la fedeltà alle sue scelte di parte, paga il
tentativo di liberazione dell’umano negli uomini, paga il prezzo di aver
liberato l’immagine di Dio dalle mani chiuse e soffocanti dei religiosi e dei
potenti di ogni genere.
Gesù sceglie di stare nel silenzio dirompente di una
tomba e non fugge, ma resta, anzi va fino in fondo (scese agli inferi, dice il Vangelo). Il silenzio della sua tomba
oggi è necessario, come lo era ieri, e come lo sarà ancora, necessario per
provocare il nostro vissuto e per trasformare il nostro rapporto con gli altri,
fondamentale per cogliere lo “stile” di Dio che prima di tutto entra in
profondità in tutte le dimensioni del nostro esistere e del nostro modo di
stare insieme, solo questa dimensione dello scendere in profondità da senso e
potenza alla dirompente forza della risurrezione. Ho questa immagine oggi: Dio
che è capace di entrare in profondità nelle pieghe nascoste del vivere umano, a
partire da quelle più disastrate, mi prende per mano e mi dice che è possibile,
tra noi, farci visita anche in queste dimensioni, con misure differenti, con
stili differenti, Lui ci precede in questo e ci invita a seguirlo senza temere
troppo, ma abbandonandoci. Di situazioni e dimensioni umane compromesse da visitare ce ne sono molte oggi, in tutte
le latitudini, senza far distinzione di appartenenza, e se il “silenzio di
tomba” di Dio è stato preludio di vita che risponde alla morte, proviamo a fare
in modo che i nostri non siano silenzi di compromissione con la morte che
ingiustizie, prepotenze e soprusi
determinano ancora oggi.
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