domenica 24 marzo 2013

Far West e Ponti

Primavera sul mio balcone
Due giorni fa le locandine dei giornali locali riportavano questo titolo “ Far West a Lido tre archi, inseguimento con schianto”, per la prima volta ho provato il brivido di sentirmi esattamente dentro un titolo della stampa, certo non ero quello inseguito, ma la mia povera macchina, tranquillamente in parcheggio nella piazzetta antistante il mio palazzo, si è trovata coinvolta nello schianto. I malviventi hanno travolto ben tre vetture, una delle tre è stata la mia punto; ero nel pieno sonno, ho percepito dei rumori, ma non ho assolutamente realizzato quanto accaduto, così la mattina seguente, uscendo sul balcone a gustarmi il caffè di inizio giornata, ho visto il risultato di una nottata movimentata nel quartiere, non vi dico, mi è cascato il mondo addosso. Istinto di piangere, rabbia, disorientamento, senso di smarrimento poi sangue freddo per affrontare anche questo. Da giorni i vicini mi mostrano tutta la loro solidarietà “ è la macchina del maestro”, e sanno bene che come loro non posso permettermi nessun lusso  e una macchina è fondamentale per il lavoro, tutti sapevano che era la mia macchina. Sinceramente avrei preferito altri mezzi per rendermi conto di come viene percepita la mia presenza e di quanti occhi comunque mi osservano, ma questo è il quotidiano mio e degli altri e da questo non posso fuggire. La malavita è presente è evidente, il disagio che certi comportamenti provocano è innegabile e tutta la comunità del quartiere ne risente, nei giovani indiani o pachistani che conosco, fa nascere un senso d’impotenza, una rabbia perché con questi fatti si rafforzano gli stereotipi: tutti gli immigrati sono delinquenti, ma allo stesso tempo ho visto anche una netta presa di distanza, una dignità e una lucidità che li porta ad aver ben chiaro il modo di affrontare la vita in Italia, una modalità che garantisca un futuro stabile e il malaffare non garantisce nulla. Anche oggi tornando dalla parrocchia, alcune persone mi dicevano che certi fatti così eclatanti non erano mai successi, che certi tipi sono ben conosciuti, forse ha ragione il giornalista nel dire che è un Far West, ma posso dire che si costruiscono silenziosamente anche dei ponti e mi spiego: rientrando saluto Francesca e Valerio che mi hanno dato un passaggio e sul cancelletto di casa il gruppo di giovani indiani e pachistani, mi fermano ed iniziano a parlarmi, i discorsi si allargano, dalla mia macchina si passa al quartiere, a quello che vedono e a quello che non accettano, dalla consapevolezza di quello che sono venuti a costruire qui in Italia con la loro famiglia al desiderio che hanno di star bene qui. 

Uno di loro mi dice che mi ha incontrato a scuola appena arrivato in Italia, mi racconta di come cercava di capire quello che gli dicevo dai gesti e dalle facce che facevo, le quattro parole d’italiano che conosceva le cercava tra le mille che pronunciavo per afferrare il discorso, mi rivela che ha chiesto informazioni su di me anche ad altri, perché non riusciva a ricordarsi dove mi aveva visto. Il suo racconto l’ho vissuto come una forma di accoglienza, quando poi gli ho detto semplicemente che avevo scelto di venire qui, mi ha risposto con un’esclamazione: “ Hai scelto!”, come a dire qui non si sceglie di venire, ci si ritrova  per forza  quando non si ha alternativa, del resto è un quartiere che ha un marchio e rischi di stampartelo addosso. Ascolto e mi rendo conto che devo ancora fare tanto silenzio, che nonostante i cinque mesi trascorsi qui, ho ancora necessità di essere accompagnato da questa gente per entrare veramente nel cuore di questa realtà, che non è strana, diversa, rara, è semplicemente realtà umana, che le istituzioni e gli eventi hanno ghettizzato e messo ai margini. Mentre parlo con loro, tra me penso che qui non è solo far west, è anche altro, molto altro e non si può semplificare, la complessità è la caratteristica del nostro vivere sociale e le generalizzazioni sono solo degli abbagli che per un breve istante danno l’impressione che si è afferrata la realtà, ma è solo illusione.  IL ragazzo del  quinto piano Ku. (metto solo le iniziali) mi invita a casa sua e con naturalezza mi mostra le foto della sua famiglia, della sua giovane promessa sposa e della sua religione induista; di colpo sono in un altro mondo, più ascolto e più mi sembra di sentire dentro il senso della mia scelta di piccolo fratello. Il far west è fatto anche di ponti.





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