Uscendo di casa qualche giorno fa, trovo sul pianerottolo
accantonato in un angolo di fianco all’ascensore, un divano, lo osservo e
chiaramente capisco che è lì parcheggiato per poi essere gettato via, le sue
condizioni sono decisamente precarie, non ha nemmeno più i cuscini ma una
tavola di legno che richiama vagamente lo sportello di un armadio anni ’70. Il
fatto che venga depositato in quel angolo non crea assolutamente disturbo, le
regole condominiali sono momentaneamente sospese e poi del resto, prima della
legge occorre tener conto della praticità: dove mettere un divano a tre posti
che non può più occupare un piccolo alloggio? Appunto, di fianco all’ascensore,
del resto osservando bene e con occhi diversi, potrebbe essere utile per creare
un angolo d’attesa; sorrido e esco, dopo
tutto, questo non è veramente un problema nel nostro condominio, ci sono
aspetti e situazioni ben più importanti. Con il passare dei giorni mi affeziono
a quest’arredo condominiale e mi domando chi starà arrivando o traslocando
altrove, anche la mobilità continua è un
elemento che incomincio a notare nel quartiere, la precarietà che si
vive obbliga tutti ad essere sempre pronti a traslocare, o meglio emigrare
altrove; una donna pachistana, giovane e già con tre figli da accudire, mi
diceva che sarebbe andata in Inghilterra, almeno lì aveva altri parenti e
soprattutto avrebbe potuto utilizzare il suo titolo di studio, in Italia è
semplicemente una donna capace di leggere e scrivere , visto che è molto
difficile farsi riconoscere la laurea, gli stereotipi che ci portiamo dentro ci
fanno vedere queste donne avvolte nei loro abiti tradizionali sempre delle
donne analfabete o rigidamente incastrate in regole culturali arcaiche, non che
non ce ne siano, ma la realtà è sempre ricca di sfumature e sorprese. Con mia meraviglia
ieri il divano viene miracolosamente ricomposto con i suoi tre cuscini, pulito
e al suo centro campeggia un foglia A4 con la scritta: “Chi ne ha bisogno può
prenderlo”. Credo che basti questo foglio per scardinare tutti i nostri schemi,
regolamenti e regole igieniche: chi prenderebbe un divano lasciato sul
pianerottolo, senza conoscerne il proprietario, senza sapere come è stato utilizzato
e giù mille altre domande; tutto è superato da un semplice ragionamento: “io non
lo uso più, buttarlo non mi sembra il caso, chiunque tu sia prendilo se può
esserti utile”, alla faccia del mercato. Pensate che il divano è ancora sul mio
pianerottolo? Mi dispiace solo di non essere riuscito a fotografarlo, questa
mattina riposerà serenamente in un piccolo alloggio dello stesso stabile,
qualcun altro godrà della sua comodità por molto tempo ancora, come dire: “qui
non si butta nulla”. Il divano è semplicemente una metafora di quello che sto
osservando in questi mesi, del resto anche nella scuola del quartiere, ho la
possibilità di considerare mille situazioni di precarietà, e altrettante
soluzioni creative, credo che in un tempo di crisi come quello attuale, la
creatività vada messa in gioco, questo si traduce in un superamento degli schemi
e in una capacità di selezione tra i bisogni reali e primari e quelli indotti
da un consumismo e uno stile di vita mercificato, per comprenderlo non basta
osservare da lontano, occorre entrare dentro e mescolarsi. Sento che questo
“stare” ha il potere di trasformare, è esso stesso un “fare”, del resto il
silenzio dei 30 anni di Gesù a Nazareth non è l’attesa o la preparazione di un
impegno più visibile, è già l’agire di Dio.
Non sto cercando eventi
particolari, o esperienze eclatanti, non mi aspetto stravolgimenti, mi
interessa vivere nel silenzio questo quotidiano e gli incontri che lentamente
si rendono possibili, chissà potrei fare come quel divano: aspettare senza
essere per forza utile.
Sul mio pianerottolo c'era una sedia a rotelle...che voleva dirmi il mio vicino? AL
RispondiEliminapotresti insospettirti: forse ti hanno ricoverato al Ferrucci.
RispondiEliminaAnnaaaa