lunedì 21 gennaio 2013

Due casacche per giocare


Il mio lavoro in questi mesi mi pone spesso a contatto con le realtà più diverse, le quali mi chiedono tutte indistintamente di ascoltare senza giudicare, di credere che il “contagio” e la vicinanza non è mai pericolosa se l’altro è lo spazio della meraviglia, lavorando poi con ragazzi e bambini mi rendo conto che la relazione per essere efficace, deve passare attraverso canali comunicativi differenti:  prima ancora delle parole, ciò che più conta sono i gesti, gli sguardi e la presenza. E’ una grande palestra di autenticità, quella che mi viene offerta, un tempo e uno spazio, dove come adulto, mi gioco la piena responsabilità di costruire insieme agli altri una comunità che si fa “possibilità” per tutti  senza mai livellare o appiattire su di un’unica misura o modello. La settimana scorsa inizio un lungo ed appassionante progetto in una scuola media ( evito per motivi di privacy riferimenti a nomi e luoghi), mi è stato chiesto di accompagnare nelle differenti classi coinvolte, i processi relazionali, favorendo quelle che sono le risorse del gruppo e dei singoli, per poter poi trasformare i conflitti in possibilità, la comunicazione in relazioni efficaci e le differenze culturali come dati di fatto che si possono riconoscere, valorizzare e abitare, perché questo è “già” quello che per molti deve ancora accadere. Prima di entrare in classe faccio un grande respiro, ascolto come mi sento e quali sono le preoccupazioni che mi porto dietro, poi incomincio a guardare i ragazzi, osservo, ascolto il clima della classe, mi interesso a come si muovono, fino a che alla fine, mettendomi seduto  in cerchio con loro incomincio a sentire dentro che ne vale proprio la pena essere lì, a quel punto cerco di trovare il mio posto nel loro cerchio invisibile, fatto di relazioni, pensieri, alleanze che non sempre sono facili da scalfire: un estraneo, uno fuori dal proprio recinto è sempre meglio tenere a debita distanza. In questi primi momenti mi gioco molto dell’alleanza con loro, anche se sono degli adolescenti, hanno il potere di mettere noi adulti completamente fuori gioco. E’ sempre molto interessante scoprire in me che l’imbarazzo o la resistenza che mi oppongono rischia di portarmi verso l’utilizzo del potere che come adulto posso mettere in atto, ma sarebbe una difesa contro un'altra difesa. Iniziamo l’attività con un giro veloce di nomi, ed è la cosa più semplice che posso proporre inizialmente, serve per allentare le tensioni, ma sovente le cose più semplici sono quelle più importanti: un ragazzo si presenta con un nome che in realtà non è il suo, la classe pur sapendolo mantiene talmente la parte che tutto scorre tranquillamente, fino a che con l’aiuto di un altro adulto si scopre l’inganno, che poi inganno non è. 

Molti bambini o ragazzi cinesi hanno un nome 
italiano che utilizzano quando sono con gli altri, ma con loro è normale, lo diamo per scontato senza mai porci nessun interrogativo, ci rende la vita più facile quando dobbiamo chiamarli, quindi va bene, il problema in questo caso e dell’altro che ha l’obbligo del doppio nome; questa volta la situazione è diversa, il ragazzo in questione è di un'altra cultura ma non è cinese. Non mi scompongo molto, anzi prendo la palla al balzo e ci lavoriamo su: mi dice che da tempo ha scelto per se un nome italiano e che i compagni ne erano consapevoli. Mentre lo ascolto mi sembra di percepire che quello fosse lo strumento adatto per dire “sono di questo gruppo”, “mi chiamo come voi e quindi? Che fate?” ( sono mie verbalizzazioni). Sono molti i ragazzi che utilizzano strategie simili pur di non sentire il peso della diversità o dell’appartenenza ad una minoranza, che oltre tutto, in alcuni casi, li ha obbligati a lasciare amici e luoghi famigliari per andare in un paese altro. Tutto questo è dentro, nascosto, elaborato in solitudine, negato, qualche volta espresso con la rabbia e l’aggressività, allora la cosa più semplice è avere due casacche per poter continuare a giocare, anche se questo non allevia  la fatica di abitare terre di mezzo. Abramo nella Bibbia è chiamato un nomade errante, Israele nonostante la Terra promessa è stato sempre una minoranza e straniero in terra straniera, Gesù rompendo gli schemi culturali e religiosi del suo tempo, ha abitato villaggi e situazioni le più diverse e le più emarginate, come piccolo fratello mi sento attratto dalla stessa dinamica di Dio che queste terre di mezzo le abita, con smisurato silenzio e le vuole trasformare dicendo con forza “ che ogni casacca, tutte le casacche sono degne”, nessuno deve essere obbligato a rinnegare la sua, per trovare la piena cittadinanza in questo mondo. 
Non è forse questo il senso del Regno di Dio che Gesù con tanta passione ha gridato?







1 commento:

  1. La doppia casacca, la mettiamo anche noi adulti per svariati motivi!!! Questo mi fa molto riflettere sul senso della nostra autenticità. Micaela

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