domenica 27 gennaio 2013
44 gatti in fila per uno...

Questa sera rientrando a casa, dei ragazzi indiani mi salutano con molta famigliarità, approfitto di questo calore e apertura per scambiare qualche parola con loro, di chiedere di come va il lavoro, quanti anni hanno, mi guardano come se mi conoscessero, in un solo istante mi rendo conto che sono invecchiato: hanno partecipato a dei laboratori con me nella scuola del quartiere, sono ormai nel mondo del lavoro, mi raccontano di situazioni poco facili che incontrano qui, sono i colori e le sfumature differenti di Lido3Archi: tutte quelle che vanno dal disagio al riscatto.
Rientro in casa e sento che desidero restare in silenzio in
cappellina, prendo un libro di Arturo Paoli: “Il deserto è la cornice del
nulla. Per scoprire valori allo stato nascente bisogna accettare di essere
respinti lì dove nascono le cose. Bisogna avere la pazienza del nulla, non
scacciarlo come demonio, non affrontarlo col nostro coraggio, ma rispettarlo
nella sua qualità di nulla”.

“la parola più bella e importante di oggi? NAMASTE”
lunedì 21 gennaio 2013
Due casacche per giocare

Molti bambini o ragazzi cinesi hanno un nome
italiano
che utilizzano quando sono con gli altri, ma con loro è normale, lo diamo per
scontato senza mai porci nessun interrogativo, ci rende la vita più facile
quando dobbiamo chiamarli, quindi va bene, il problema in questo caso e dell’altro
che ha l’obbligo del doppio nome; questa volta la situazione è diversa, il
ragazzo in questione è di un'altra cultura ma non è cinese. Non mi scompongo
molto, anzi prendo la palla al balzo e ci lavoriamo su: mi dice che da tempo ha
scelto per se un nome italiano e che i compagni ne erano consapevoli. Mentre lo
ascolto mi sembra di percepire che quello fosse lo strumento adatto per dire “sono
di questo gruppo”, “mi chiamo come voi e quindi? Che fate?” ( sono mie
verbalizzazioni). Sono molti i ragazzi che utilizzano strategie simili pur di
non sentire il peso della diversità o dell’appartenenza ad una minoranza, che
oltre tutto, in alcuni casi, li ha obbligati a lasciare amici e luoghi
famigliari per andare in un paese altro. Tutto questo è dentro, nascosto,
elaborato in solitudine, negato, qualche volta espresso con la rabbia e l’aggressività,
allora la cosa più semplice è avere due casacche per poter continuare a
giocare, anche se questo non allevia la
fatica di abitare terre di mezzo. Abramo nella Bibbia è chiamato un nomade
errante, Israele nonostante la Terra promessa è stato sempre una minoranza e
straniero in terra straniera, Gesù rompendo gli schemi culturali e religiosi
del suo tempo, ha abitato villaggi e situazioni le più diverse e le più emarginate,
come piccolo fratello mi sento attratto dalla stessa dinamica di Dio che queste
terre di mezzo le abita, con smisurato silenzio e le vuole trasformare dicendo
con forza “ che ogni casacca, tutte le casacche sono degne”, nessuno deve
essere obbligato a rinnegare la sua, per trovare la piena cittadinanza in
questo mondo.
Non è forse questo il senso del Regno di Dio che Gesù con tanta
passione ha gridato?

mercoledì 16 gennaio 2013
Chi fa per sè...
Lo sapevo molto bene che passato il periodo natalizio,
sarebbe iniziato per me un tempo carico d’impegni, oltre al lavoro in comunità
d’accoglienza, iniziavano i progetti nelle scuole, gli incontri di formazione e
gli esami dell’università, che sono lì come un impegno che diventa sempre più
pesante; ogni sera guardo da lontano la mia agenda e ho una certa esitazione
nell’aprirla, consapevole del fatto che il giorno seguente è carico d’impegni.
Non mi voglio comunque lamentare, in un tempo di crisi come quello che stiamo
vivendo, mi reputo molto fortunato perché ho la possibilità di fare un lavoro
che mi piace, per cui ho speso tempo e denaro per la formazione e soprattutto
perché mi permette di essere in contatto con molte persone e realtà: il mio
lavoro si sposa benissimo con la mia scelta di vita.
Rientrando a scuola e prendendo contatto con le differenti
situazioni dei bambini, ho la possibilità di vedere da vicino le situazioni più diverse, dove si può toccare con mano
quello che la crisi produce: l’incertezza e la precarietà. Non è difficile
constatare che le famiglie fanno fatica a mantenere uno stile di vita che fino
ad ora era nelle loro possibilità, grazie ad un ingresso economico garantito
dal lavoro almeno di un genitore, oggi non è più così, mi è successo più volte
di sentir dire che il genitore di questo o quel bambino non lavora più. La
precarietà si aggiunge a precarietà. Molte famiglie non hanno mai avuto un
tenore di vita elevatissimo, i soldi che entrano sono spesso utilizzati per
mantenersi qui in Italia, per dare un futuro migliore per i propri figli e per
sostenere i parenti rimasti nel paese d’origine; non credo sia semplice reggere
una responsabilità e un peso del genere e rispondere a così tante e diverse
aspettative. Questa vita in salita ormai coinvolge tutti, le difficoltà che
stiamo vivendo non fanno distinzione di cultura o provenienza. C’è comunque una
debolezza, una fragilità, un “tallone d’Achille” che ci rende ancora più
vulnerabili e che almeno, per quanto mi riguarda, non mi fa intravedere una via
d’uscita o di speranza rispetto a quello che viviamo: è l’individualismo.

Sono certo che anche noi cristiani cattolici, con il nostro
impegno a salvare l’anima abbiamo rafforzato questa mentalità, convinti di
annunciare il Vangelo ancora oggi, proponiamo spesso pratiche religiose che
portano al bene e alla salvezza dell’individuo, dimenticando completamente e
scandalosamente che l’unica Buona Notizia di Gesù è stata quella dell’avvento
del Regno di Dio, “Gesù non si dedica ad
esporre ai contadini e ai pescatori nuove norme o leggi morali, annuncia loro
una notizia: Dio è già qui e si prefigge una vita più felice per tutti,
dobbiamo cambiare il nostro sguardo e il nostro cuore. Il suo scopo non è
fornire a quegli abitanti un codice morale più perfetto, bensì aiutarli ad
intuire com’è e come agisce Dio e come saranno il mondo e la vita se tutti
agiranno come Lui” (J.A Pagola “Gesù un approccio storico”, Borla), non si
tratta quindi di assicurarsi un posto in prima fila in Paradiso, quanto
appassionarsi e responsabilizzarsi nella trasformazione della storia qui ed
ora, nell’umanità di cui siamo parte integrante e in cui Dio ha scelto di
incarnarsi. Più leggo il Vangelo più vado in crisi, più faccio risuonare nel
silenzio la Sua Parola in questo contesto sociale ben preciso, più mi accorgo
che ogni mio gesto, ogni mia scelta non ha senso se solo risponde ad un mio
bisogno: questo “nazareth” mi provoca e mi dice che qui non sono un privato
cittadino, allora la mia fede si scardina, il Vangelo si scompagina, la mia
appartenenza alla comunità cristiana non è più un nido sicuro, anche il mio
essere da solo qui mi pone qualche domanda. Sarà anche scomodo tutto questo,
eppure mi appassiona e mi da speranza, mi spinge a superare tutte le mie paure
e reticenze, mi obbliga ad uscire fuori e creare relazioni, mi invita a con-
promettermi.
A scuola incontro la bimba nigeriana del secondo piano, le
dico che non l’ho più vista nel palazzo,
lei mi guarda, mi sorride e mi risponde:_ io si, tante volte.
domenica 6 gennaio 2013
L' Epifania il divano si porta via
Uscendo di casa qualche giorno fa, trovo sul pianerottolo
accantonato in un angolo di fianco all’ascensore, un divano, lo osservo e
chiaramente capisco che è lì parcheggiato per poi essere gettato via, le sue
condizioni sono decisamente precarie, non ha nemmeno più i cuscini ma una
tavola di legno che richiama vagamente lo sportello di un armadio anni ’70. Il
fatto che venga depositato in quel angolo non crea assolutamente disturbo, le
regole condominiali sono momentaneamente sospese e poi del resto, prima della
legge occorre tener conto della praticità: dove mettere un divano a tre posti
che non può più occupare un piccolo alloggio? Appunto, di fianco all’ascensore,
del resto osservando bene e con occhi diversi, potrebbe essere utile per creare
un angolo d’attesa; sorrido e esco, dopo
tutto, questo non è veramente un problema nel nostro condominio, ci sono
aspetti e situazioni ben più importanti. Con il passare dei giorni mi affeziono
a quest’arredo condominiale e mi domando chi starà arrivando o traslocando
altrove, anche la mobilità continua è un
elemento che incomincio a notare nel quartiere, la precarietà che si
vive obbliga tutti ad essere sempre pronti a traslocare, o meglio emigrare
altrove; una donna pachistana, giovane e già con tre figli da accudire, mi
diceva che sarebbe andata in Inghilterra, almeno lì aveva altri parenti e
soprattutto avrebbe potuto utilizzare il suo titolo di studio, in Italia è
semplicemente una donna capace di leggere e scrivere , visto che è molto
difficile farsi riconoscere la laurea, gli stereotipi che ci portiamo dentro ci
fanno vedere queste donne avvolte nei loro abiti tradizionali sempre delle
donne analfabete o rigidamente incastrate in regole culturali arcaiche, non che
non ce ne siano, ma la realtà è sempre ricca di sfumature e sorprese. Con mia meraviglia
ieri il divano viene miracolosamente ricomposto con i suoi tre cuscini, pulito
e al suo centro campeggia un foglia A4 con la scritta: “Chi ne ha bisogno può
prenderlo”. Credo che basti questo foglio per scardinare tutti i nostri schemi,
regolamenti e regole igieniche: chi prenderebbe un divano lasciato sul
pianerottolo, senza conoscerne il proprietario, senza sapere come è stato utilizzato
e giù mille altre domande; tutto è superato da un semplice ragionamento: “io non
lo uso più, buttarlo non mi sembra il caso, chiunque tu sia prendilo se può
esserti utile”, alla faccia del mercato. Pensate che il divano è ancora sul mio
pianerottolo? Mi dispiace solo di non essere riuscito a fotografarlo, questa
mattina riposerà serenamente in un piccolo alloggio dello stesso stabile,
qualcun altro godrà della sua comodità por molto tempo ancora, come dire: “qui
non si butta nulla”. Il divano è semplicemente una metafora di quello che sto
osservando in questi mesi, del resto anche nella scuola del quartiere, ho la
possibilità di considerare mille situazioni di precarietà, e altrettante
soluzioni creative, credo che in un tempo di crisi come quello attuale, la
creatività vada messa in gioco, questo si traduce in un superamento degli schemi
e in una capacità di selezione tra i bisogni reali e primari e quelli indotti
da un consumismo e uno stile di vita mercificato, per comprenderlo non basta
osservare da lontano, occorre entrare dentro e mescolarsi. Sento che questo
“stare” ha il potere di trasformare, è esso stesso un “fare”, del resto il
silenzio dei 30 anni di Gesù a Nazareth non è l’attesa o la preparazione di un
impegno più visibile, è già l’agire di Dio.
Non sto cercando eventi
particolari, o esperienze eclatanti, non mi aspetto stravolgimenti, mi
interessa vivere nel silenzio questo quotidiano e gli incontri che lentamente
si rendono possibili, chissà potrei fare come quel divano: aspettare senza
essere per forza utile.
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