L’ascolto è una delle dimensioni che sento ancora non pienamente assunte nella
mia quotidianità e allo stesso tempo, una di quelle che maggiormente mi trovo a
vivere nel ripetersi spesso monotono delle giornate. Trovarmi in ascolto di
qualcuno non è mai programmato, quasi sempre è inaspettato e sovente sembra
casuale, ogni volta comunque è un’esperienza che tocca la parte più intima di
me stesso, fortunatamente rientrando a casa ho la possibilità di custodire
tutto nel silenzio, per far in modo che quello che l’altro, incontrato magari
in strada, sul pianerottolo, all’angolo della mia via, trasformi e scomodi la mia vita. Tra ieri ed oggi mi sono immerso dentro gli
occhi, le parole e i gesti di alcune persone che mi hanno raccontato parti di sé,
non hanno chiesto nulla, non hanno cercato né conforto né risposte certe, hanno
raccontato, esternato, ma direi anche consegnato, quello che avevano di più vivido nella loro
vita.
Per un istante brevissimo mi sono accorto che gli occhi del
mio amico pachistano si sono riempiti di lacrime, mentre mi raccontava la
fatica di questo momento, con le decisioni da prendere, il desiderio di essere
rispettoso delle regole, di rimanere fedele al suo alto senso dell’onestà, e di
non cedere alla forza distruttiva che la crisi che viviamo, sta vomitando nell’esistenza
di tanta gente senza distinzione di genere e appartenenza, è stanco e sente che
le forze di un tempo, la capacità di resistere agli urti sembrano svanire, ma
non può cedere, ha una famiglia, ha dei figli, ha soprattutto una storia
personale fatta di costruzione lenta e tenace, proprio ora non può cedere allo
scoraggiamento; probabilmente è un misto di rabbia e sconforto quello che emerge
dietro quelle lacrime, che restano comunque discrete, per il tentativo di
trattenerle. Nonostante questo me ne accorgo e mi ci “sento
dentro”, mi colpiscono molto più delle parole che mi sta pronunciando; ho un
profondo senso di rispetto verso di lui, perché ha molti vincoli e
responsabilità a cui non si sottrae, per primo la famiglia, sa che spostarsi,
emigrare ancora una volta, è una decisione che ricade anche sui suoi figli, tra
l’altro mi racconta che questi sono i discorsi ormai costanti di tante altre
famiglie nel quartiere: _“mio figlio è straniero qui, ma lo sarà ancora di più
nel mio paese se torno”, e lo sarà comunque anche in altri, penso tra me. La sua
è una grande dignità ed onestà con se stesso, nessuno se ne accorge, perché sono
di quelle storie anonime che non dicono nulla a chi è affamato e divoratore
vorace di racconti conditi di eccezionalità e pressapochismo. Mentre continua a
parlare, si interrompe perché si avvicina un’altra persona e mi fa capire che
dovremo rimandare in un altro momento la nostra chiacchierata, è una
condivisione che non va messa in piazza, con lo sguardo ci capiamo benissimo e
questo suo gesto rende me ancora più responsabile di quanto ho ascoltato e
accolto.
Sotto l’ingresso del mio palazzo incrocio una donna che
conosco, lei è italiana, mi avvicino, lei è sempre solare con me, così decido di
farmi presente per primo, tempo fa avevo percepito che qualcosa era cambiato
nella sua vita, mi sembrava di comprendere che avesse vissuto una crisi di
quelle che trasformano l’esistenza e i progetti di vita, in breve tempo; così un po’
per curiosità un po’ per desiderio di farmi più vicino, cerco le parole più
adatte per chiedere. Ci si ascolta, ci si riconosce, si cerca di comprendere la
fatica vissuta, noto che ha il desiderio di parlare, raccontare senza essere
interrotta, ma lo fa non con affanno, ma con una certa fluidità. Nonostante
tutto, le risorse che ha messo in campo sono tante e non è crollata, ha
mantenuto una sua dignità, ha saputo dare una svolta a partire da un’esperienza
non positiva. Ascolto e accolgo.
Sono questi i luoghi della presenza di Dio, gli incontri
concreti in cui nulla si fa, se non riconoscere la vita in tutte le sue
sfaccettature; accogliere e lasciarci
scomodare da quest’ascolto di Dio, che passa nella vita degli uomini e le donne
del mio quartiere.
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