Mi diverte moltissimo vedere lo stupore dei ragazzi a scuola
che scoprono l’esistenza di un “confine” invisibile, che loro non immaginano
minimamente avere e che comunque li divide dagli altri, del resto nessuno di
noi pensa o meglio sente, come la violazione continua di questo confine,
determina, modifica o rafforza le relazioni. E’ un bel gioco quello di
osservare come persone intente a parlare, si spostano continuamente, occupando
spazi e distanze sempre differenti: ci si incontra in un punto e dopo qualche
minuto ci si ritrova spostati, basta che uno si muova che subito tutti gli
altri, come in una danza, cambiano orientamento…e quei confini invisibili
restano intatti, saldi e necessari, necessari alla comunicazione, alla
relazione e al nostro star bene in quell’incontro. Eppure oggi questi confini
invisibile spesso, e sempre più spesso saltano, si infrangono, vengono spezzati
o semplicemente non sono mai stati segnati. Tutto ci è possibile fare,
raggiungere, possedere, con la regola del “..e perché no?” non possiamo mai
avere limiti, non possiamo più permetterci di trovarci di fronte ad un margine, ad una rinuncia, ad un “no” che può venire dall’ambiente, dalla convivenza
sociale, da una relazione, dobbiamo sperimentare tutto, avere tutto, e ogni
bisogno deve avere la sua risposta, non importa con quali mezzi e attraverso
chi. Noi adulti stiamo educando una generazione intera di ragazzi e fanciulli
con questo senso di onnipotenza, che non fa percepire né misura, né limite del
proprio agire, siamo passati dalla nostra esperienza del “devi” fare, rigida e
autoritaria, che ha generato aridi e spietati doverismi, al “devi” avere tutto,
che si manifesta con la velocità dei nostri tempi, in atteggiamenti, spesso
violenti, aggressivi, predominati. In una classe di seconda media un ragazzo ha
chiaramente ammesso che oggi, nel 2014, è rispettato solo chi è prepotente, chi
sa comandare sugli altri; alle mie orecchie di adulto, questa affermazione
esplicitata come dato di fatto incontrastabile, suona come grido di aiuto e
fragilità, più che come prepotenza e sicurezza. Ma siamo ancora troppo sordi, o
semplicemente disorientati più di loro, per poterlo ascoltare.
Un uomo oggi ha confessato l’uccisione di una donna e il
figlio di questa di soli tre anni, perché non aveva accettato il rifiuto della stessa
di fare sesso con lui, certo quante volte abbiamo sentito dire anche questo
come dato naturale, che il maschio è istintivo, che fare sesso è necessario per lui, perchè "si carica e deve svuotare"come svuotare
una pentola a pressione, e un “no” diventa pericoloso. Questi sono casi
estremi, notizie eclatanti, gesti efferati, dalle tinte forti, ma le sfumature
sono nel nostro quotidiano più di quanto possiamo pensare, e mi voglio spingere
oltre: le cause sono nei nostri “no” non detti ai ragazzi, sono nell’inganno
che abbiamo loro consegnato quando li confermiamo nella loro onnipotenza che
abbiamo coltivato e favorito, le cause sono anche nell’eccessiva protezione che
ha solo evitato a loro, di saper gestire le frustrazioni e a noi, di saper
accogliere la fatica di essere responsabili e coerenti. Non sono pessimista e
catastrofico, non lo sono per natura, credo che chiamare la realtà con il
proprio nome sia comunque liberante ed apra la strada ad un cambiamento; sempre
di più nelle classi incontro ragazzi e ragazze che in qualche maniera vivono le
fatiche che ho descritto, ci lamentiamo spesso di loro, di quello che sono
capaci di fare come atti di bullismo o di prevaricazione sugli altri, sanno
ormai usare bene e con efficacia i mezzi tecnologici a loro disposizione per
affossare, ferire, eliminare un compagno o una compagna; di fronte al
proliferare costante di queste situazioni, spesso noi adulti sappiamo
lamentarci, disprezzare e discreditare le nuove generazioni, ci sentiamo
impotenti e scarichiamo la responsabilità sulla troppa furbizia dei ragazzi, ci
giustifichiamo dicendo: ”noi eravamo più stupidi”, dimenticando completamente
che questi ragazzi non sono furbi, ma semplicemente disorientati dalla mancanza
di confini.
Mi porto dentro il non detto di alcuni di loro, i pesi non espressi ma visibili attraverso la
loro ribellione, ho avuto la possibilità di entrare in comunicazione con loro
attraverso lo sguardo, andando oltre le parole, mi è sembrato di sentire da
lontano il fragore della loro fatica, troppo spesso nascosta per necessità di
sopravvivenza; non è facile reggere lo sguardo, non impaurirsi anche se adulti, ma se si ha questo coraggio,
allora si intravede la forza vitale che può scaturire. Il non giudizio, l’accoglienza incondizionata, la
fedeltà che si esprime nel non fuggire ma nel saper restare e abitare insieme
qualsiasi situazione, questo genera sicurezza e rende le relazioni nutrienti,
ma c’è qualcosa di più forte: è il silenzio con cui si impara ad abitare la
storia dell’altro che apre confini e ristabilisce confini; li apre perché permette
di non essere invadente nella sofferenza e nella fatica dell’altro, ma ospite, li ristabilisce, perché
sa ricreare dignità, ridona un volto e riconosce un valore all’altro, che il
Vangelo ci invita a chiamare fratello e sorella.
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