mercoledì 5 marzo 2014

Confini sottili

Mi diverte moltissimo vedere lo stupore dei ragazzi a scuola che scoprono l’esistenza di un “confine” invisibile, che loro non immaginano minimamente avere e che comunque li divide dagli altri, del resto nessuno di noi pensa o meglio sente, come la violazione continua di questo confine, determina, modifica o rafforza le relazioni. E’ un bel gioco quello di osservare come persone intente a parlare, si spostano continuamente, occupando spazi e distanze sempre differenti: ci si incontra in un punto e dopo qualche minuto ci si ritrova spostati, basta che uno si muova che subito tutti gli altri, come in una danza, cambiano orientamento…e quei confini invisibili restano intatti, saldi e necessari, necessari alla comunicazione, alla relazione e al nostro star bene in quell’incontro. Eppure oggi questi confini invisibile spesso, e sempre più spesso saltano, si infrangono, vengono spezzati o semplicemente non sono mai stati segnati. Tutto ci è possibile fare, raggiungere, possedere, con la regola del “..e perché no?” non possiamo mai avere limiti, non possiamo più permetterci di trovarci di fronte ad un margine, ad una rinuncia, ad un “no” che può venire dall’ambiente, dalla convivenza sociale, da una relazione, dobbiamo sperimentare tutto, avere tutto, e ogni bisogno deve avere la sua risposta, non importa con quali mezzi e attraverso chi. Noi adulti stiamo educando una generazione intera di ragazzi e fanciulli con questo senso di onnipotenza, che non fa percepire né misura, né limite del proprio agire, siamo passati dalla nostra esperienza del “devi” fare, rigida e autoritaria, che ha generato aridi e spietati doverismi, al “devi” avere tutto, che si manifesta con la velocità dei nostri tempi, in atteggiamenti, spesso violenti, aggressivi, predominati. In una classe di seconda media un ragazzo ha chiaramente ammesso che oggi, nel 2014, è rispettato solo chi è prepotente, chi sa comandare sugli altri; alle mie orecchie di adulto, questa affermazione esplicitata come dato di fatto incontrastabile, suona come grido di aiuto e fragilità, più che come prepotenza e sicurezza. Ma siamo ancora troppo sordi, o semplicemente disorientati più di loro, per poterlo ascoltare.

Un uomo oggi ha confessato l’uccisione di una donna e il figlio di questa di soli tre anni, perché non aveva accettato il rifiuto della stessa di fare sesso con lui, certo quante volte abbiamo sentito dire anche questo come dato naturale, che il maschio è istintivo, che fare sesso è necessario per lui, perchè "si carica e deve svuotare"come svuotare una pentola a pressione, e un “no” diventa pericoloso. Questi sono casi estremi, notizie eclatanti, gesti efferati, dalle tinte forti, ma le sfumature sono nel nostro quotidiano più di quanto possiamo pensare, e mi voglio spingere oltre: le cause sono nei nostri “no” non detti ai ragazzi, sono nell’inganno che abbiamo loro consegnato quando li confermiamo nella loro onnipotenza che abbiamo coltivato e favorito, le cause sono anche nell’eccessiva protezione che ha solo evitato a loro, di saper gestire le frustrazioni e a noi, di saper accogliere la fatica di essere responsabili e coerenti. Non sono pessimista e catastrofico, non lo sono per natura, credo che chiamare la realtà con il proprio nome sia comunque liberante ed apra la strada ad un cambiamento; sempre di più nelle classi incontro ragazzi e ragazze che in qualche maniera vivono le fatiche che ho descritto, ci lamentiamo spesso di loro, di quello che sono capaci di fare come atti di bullismo o di prevaricazione sugli altri, sanno ormai usare bene e con efficacia i mezzi tecnologici a loro disposizione per affossare, ferire, eliminare un compagno o una compagna; di fronte al proliferare costante di queste situazioni, spesso noi adulti sappiamo lamentarci, disprezzare e discreditare le nuove generazioni, ci sentiamo impotenti e scarichiamo la responsabilità sulla troppa furbizia dei ragazzi, ci giustifichiamo dicendo: ”noi eravamo più stupidi”, dimenticando completamente che questi ragazzi non sono furbi, ma semplicemente disorientati dalla mancanza di confini. 

Mi porto dentro il non detto di alcuni di loro, i  pesi non espressi ma visibili attraverso la loro ribellione, ho avuto la possibilità di entrare in comunicazione con loro attraverso lo sguardo, andando oltre le parole, mi è sembrato di sentire da lontano il fragore della loro fatica, troppo spesso nascosta per necessità di sopravvivenza; non è facile reggere lo sguardo, non impaurirsi  anche se adulti, ma se si ha questo coraggio, allora si intravede la forza vitale che può scaturire. Il  non giudizio, l’accoglienza incondizionata, la fedeltà che si esprime nel non fuggire ma nel saper restare e abitare insieme qualsiasi situazione, questo genera sicurezza e rende le relazioni nutrienti, ma c’è qualcosa di più forte: è il silenzio con cui si impara ad abitare la storia dell’altro che apre confini e ristabilisce confini; li apre perché permette di non essere invadente nella sofferenza e nella fatica  dell’altro, ma ospite, li ristabilisce, perché sa ricreare dignità, ridona un volto e riconosce un valore all’altro, che il Vangelo ci invita a chiamare fratello e sorella.









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