Come un brano musicale che mescola ritmi lenti ad altri più
veloci e incalzanti, ecco che arrivano i mesi dell’anno in cui gli impegni nelle
scuole richiedono un buon livello di energia e resistenza ma non solo fisica,
in quanto sempre più spesso vengo contattato per poter intervenire sulle
relazioni che i ragazzi vivono all’interno dei propri contesti quotidiani, sia
scolastici che extra. Noi adulti in queste situazioni, focalizziamo tutta la
nostra preoccupazione, le nostre ansie, le nostre incertezze sui ragazzi, come
se all’improvviso abbiamo scoperto che oggi gli adolescenti o i fanciulli non
sono più così ingenui e spensierati come lo erano una volta; di colpo ci
troviamo come adulti ad affrontare disagi, atteggiamenti fuori le righe,
ribellioni che ci sembrano fuori misura e inediti. Certo la nostra società è
cambiata e lo fa costantemente e ad una velocità che lascia in ognuno e nella
collettività, quella sensazione che tutto ci sfugge di mano, che ormai nulla si
può controllare, al massimo si può solo subire; chi lavora nelle scuole e nel
mondo giovanile sente che arriva forte una domanda di senso da parte dei giovani,
ma direi la domanda di essere accolti e ascoltati, riconosciuti nella sfida
della propria crescita. Come si può trovare fiducia in sé stessi e nelle
relazioni, se non si sperimenta il dialogo con chi francamente e liberamente
resta in piedi davanti a te e non si spaventa della tua fragilità, come si può riconoscere
nelle proprie crisi il naturale passaggio verso un orizzonte di senso e di
maturità, se non incontriamo mai sul nostro cammino adulti che hanno già
sperimentato la stessa fatica e per questo sanno accoglierci, vibrare con noi e
spronarci ad avere uno sguardo più lungo e non fisso sul proprio ombelico? Mi
chiedo se i ragazzi e fanciulli di oggi non sono orfani di questi adulti, se
non trovano sempre con maggior frequenza accanto a se adolescenti camuffati da
adulti, impauriti e disorientati quanto loro, titubanti a chiamare le cose con
il loro nome, intenti spesso a dare un immagine di sé accettabile dai canoni in
voga, più che ad accogliere le proprie fragilità dopo averle riconosciute.
Nelle relazioni ci sono sempre delle reciprocità, si è specchio gli uni degli
altri, e ho appreso a mie spese quanto è necessario accogliere il riflesso di
me che passa attraverso l’altro, la parte di me che non accetto ma che nel
conflitto si evidenzia con colori e forme ben definite e vivaci, solo
stupidamente posso dire di non vederle; alla stessa maniera allora le
difficoltà, le fatiche, la ribellione e spesso anche la violenza degli
adolescenti, penso non sono altro che il riflesso di quella parte di noi adulti
che non abbiamo più accolto, quella responsabilità che abbiamo da tempo
lasciato da parte e non assunto, semplicemente perché “ci costa fatica”.
Lasciarmi pormi le domande dall’altro, lasciarmi guardare,
toccare, scomodare, mettere in crisi, lasciare che l’altro, anche se
adolescente o fanciullo, mi metta a
nudo, renda precario il mio pensiero e faccia tremare le mura di difesa del
castello di sabbia che mi sono costruito, questo credo sia la responsabilità da
assumerci oggi come adulti, responsabilità che possa trasformare la fatica del
nostro tempo in recupero della vita e del ben-essere insieme. Dialogando e
confrontandomi con alcune amiche che sono insegnanti, ho scoperto la potenza
creatrice che può generare questa senso della responsabilità, di fronte a delle
situazioni di forte disagio di alcuni alunni, di fronte alla maniera maldestra
e confusa, spesso anche nascosta che gli adolescenti usano per chiedere aiuto,
queste insegnanti, ma prima ancora queste donne, hanno scelto di avventurarsi
oltre ciò che vedevano, e di scendere nelle profondità di una caverna, dove si
era rifugiato il disorientamento di un adolescente e lì sussurrare: “sono qui e
non ho paura, in questo tuo luogo segreto posso starci, non scappo”, in questo
atteggiamento reale e non costruito, sentito e non dettato dal ruolo, incarnato
e non scimmiottato, ho visto in questa amiche la struttura di un adulto di
senso. C’è solo una maniera per compiere questa “discesa”, averla sperimentata
in sé, aver sentito quella ventata di
aria fresca che irrompe nelle stanze serrate dalla nostra paura, quando
facciamo verità in noi, quando, lasciando lo sforzo del “dover essere”, accogliamo semplicemente quello che siamo.
“Quando dico la verità mi sento libero. Mentre prima quando
dicevo le bugie, sentivo che facevo qualcosa di male e stavo male, allora ho
deciso che era meglio dire la verità”, sono le parole che ieri un bambino di quarta elementare ha detto,
mentre insieme si cercava di risolvere una questione di contrasto tra loro; “la
verità vi renderà liberi” scrivono i Vangeli, e questo è anche l’invito di Dio
che silenziosamente è già sceso ed abita nelle grotte segrete della nostra
persona e come “vento leggero” sussurra anche a noi “sono qui”.
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