venerdì 10 gennaio 2014

Per fortuna la crisi c'è

Conoscersi, osare, decidere” questo il titolo di un minuscolo libricino, a firma di Luciano Manicardi, che ho trovato nella libreria della fraternità di Bose ad Assisi, chiaramente la mia attenzione è stata subito rapita da queste tre parole che risuonavano in maniera forte in me con un eco profondo, insieme al piacere di aver trovato le parole giuste per esprimere i pensieri che sono miei compagni di viaggio da un po’ di settimane. Agisco d’istinto e quasi dò retta al mio desiderio di leggerlo all’istante, lì in piedi, tra altri libri, marmellate e oggetti di artigianato prodotti dai monaci; è la fretta di sempre, quella che rende inutile ogni buon proposito di prendersi sul serio e di dare ascolto in profondità alle domande che emergono e vengono fecondate dal proprio quotidiano, è quella fretta frutto dell’impazienza e del non saper accettare la fatica delle parti scomode di sé, del conoscersi, dell’osare e del decidere. La fretta non è il modo migliore per rispondere seriamente alle questioni più profonde che il nostro vivere e le nostre scelte inevitabilmente ci propongono, credo e ne sono sempre più certo, che vale la pena saper restare dentro la propria fatica e non cercare necessariamente il “paradiso perduto”, perché di perduto non c’è proprio nulla: ascoltando senza timore e in autenticità le nostre fatiche, si scopre che in ogni crisi c’è un passo in avanti da compiere, e una possibilità di svelarsi a sé stessi che non può che generare vita.

Non è sempre facile per me accogliere l’evoluzione della mia storia personale e della mia scelta, soprattutto vivendo da solo in un contesto fortemente popolare, spesso mi trovo di fronte a situazioni di fatica, di sofferenza che inevitabilmente mi toccano, del resto sia il mio lavoro che il quotidiano non mi permettono assolutamente di camminare con gli occhi completamente chiusi; certo possiamo ovunque e in ogni momento farci scivolare tutto addosso, chiudere la porta della nostra coscienza e con motivazioni anche serie e incontestabili, evitare che il nostro spazio personale risenta della storia e delle situazioni degli altri. Credo che questo sia possibile e anche lecito, ma si tratta più che altro di una questione di scelta personale, e ogni scelta ben consapevole porta con sé mille sfumature di ricchezza e di fatica. Io ho scelto di essere presente nei contesti quotidiani più popolari e di povertà, perché la storia delle donne e degli uomini con cui condivido tempo, spazio e quotidiano mi interessa, l’appartenenza a questa umanità e la condivisione di vita trova il suo significato più profondo nella reciprocità, scoperta come elemento fondante del mio essere creatura ed essenzialmente creatura sociale. Probabilmente nelle ultime settimane ho fatto risuonare in me tante “parole”, tanti “atteggiamenti”, tante “storie” appartenenti ad altri, ed esse non hanno fatto altro che  diventare specchio delle mie parole, dei mie atteggiamenti e della mia storia. Divenendo specchio gli uni degli altri, diventiamo  anche “possibilità e provocazione”, gli uni per gli altri. Spesso sono le persone con cui entriamo in relazione a mettere in luce parti nascoste di noi, protette per paure che noi stessi per primi ne prendiamo atto. Scopro nel mio caso specifico, un elemento in più che fa da cassa di risonanza: non dover far nulla in questo contesto. Il “fare” o l’attivismo spesso piò diventare il modo migliore e nobile per nascondere le insicurezze, e come scrive Manicardi,  “la relazione con l’altro, così come la comunicazione, è un rischio. L’altro mi mette in crisi, in discussione, la tentazione costante è di fuggire questo rischio con l’attivismo”. Anche se ho scelto la vita di Nazareth che mi pone nel cuore del quotidiano in silenzio e come presenza discreta, la nostalgia del fare ed essere riconosciuto per il saper fare, è sempre presente e viva.

Non si tratta di rinunciare alla responsabilità di operare per il cambiamento, al contrario più sono presente qui, più mi accorgo di quanto sarebbe importante agire per far emergere risorse e possibilità di cambiamento, e in questa direzione mi sto muovendo, sento di volermi compromettere, ma ciò che scopro come questione di fondo e di senso, è il motivo per cui ci si mette in azione: per sé, per gli altri o insieme agli altri?. Per me questa sera le domande restano aperte, e non ho nessuna intenzione di chiuderle, così come resta forte la provocazione del mio oggi: restare da solo qui o sperare in una vita comune per potare avanti altre possibilità?. C’è ad ogni modo una piccola certezza: il valore del silenzio; questo passaggio, questo tempo di crisi trova nel silenzio la sua stanza nuziale, il luogo fisico al riparo dalle  parole inutili, il tempo impercettibile dove avviene la fecondazione di un nuovo passaggio, di una nuova decisione , di un nuovo abbandono.



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