Finalmente una giornata di sole, non di quelle calde come
desidererei, ma cerco di non essere troppo esigente, così apro le finestre e faccio
entrare calore e profumi primaverili; la radio sintonizzata sulle notizie mi
conferma che questa è davvero una stagione fuori norma: in Lapponia sono
felicissimi perché possono andare al mare, gustarsi un gelato e tuffarsi in
acqua per trovare un po’ di refrigerio, le uniche a lamentarsi sono le renne,
che se potessero parlare alzerebbero la voce con madre natura, prima le ha
attrezzate per sopportare temperature glaciali poi le fa boccheggiare offrendo
un clima da tropici. In breve quest’anno chi vuole la tintarella, o ricorre
alla lampada oppure va in Lapponia, ospite di Babbo Natale. Tutto questo mi fa
sorridere e mi fa anche pensare alla nostra piccola visione del mondo, se pensassimo
infatti per un attimo all’ampiezza e alla diversità di clima e ambiente che la
terra contiene, ci renderemmo immediatamente conto che il problema delle
stagioni non più regolari, è il problema di una minoranza, esistono infatti
luoghi in cui il clima è sempre caldo o sempre mite, o al contrario sempre
freddo, oppure dove l’alternanza giorno notte segue sempre lo stesso ritmo,
penso all’Etiopia, dove alle 6.00 del mattino sorge il sole e alle 18.00
tramonta senza mai variare nell’arco dell’anno, in breve quello che succede da
noi non è detto che succeda ovunque, quello che è un mio problema non
necessariamente è “il problema”.
Decentrarsi, questa è la parola che mi viene subito in mente,
una parola che va tradotta in atteggiamento, azione e soprattutto in una forma
mentale, se non fossi capace di “decentrarmi” non potrei crescere, conoscere,
sperimentarmi , adattarmi e soprattutto allargare le mie esperienze di vita.
Decentramento è anche la parola giusta che meglio esprime, a mio parere, l’esperienza
di fede: Gesù è per me in pienezza “il Dio decentrato”, mi spiego: dai Vangeli
e nella nostra fede noi cristiani abbiamo accolto l’idea di un Dio che si incarna nell’umanità
attraverso Gesù, è il Dio con noi, il Dio fatto uno di noi, il Dio che ha
scelto di trasformare la storia dell’uomo dal di dentro, condividendo tutta la
nostra esistenza umana fino alla morte, questo per me vuol dire “decentrarsi”.
Non si tratta di perdere l’orientamento l’identità o il senso di sé, al contrario in un atto di
totale libertà, uscire dal proprio io e mettersi nella posizione dell’altro ed
assumere così la sua prospettiva, la sua visione della vita, il suo sentire,
comprendere dal di dentro. E’ questa un’esperienza non semplice, non immediata
ma allo stesso tempo necessaria, sia per conoscere l’altro che per allargare le
proprie prospettive. Molti immigrati fanno quest’esperienza e spesso in loro è
drammatica, dolorosa e in casi estremi traumatica, gli esperti parlano di “rottura
dell’involucro culturale” cioè di quell’involucro necessario per crescere e
svilupparsi nel proprio ambiente culturale, quest’involucro ci protegge,
determina la nostra identità e il nostro senso di appartenenza, necessario per
riconoscerci come individui, ora molte persone sradicandosi ed entrando in un
contesto culturale altro, rompono il proprio involucro e si ritrovano così in
uno stato di totale vulnerabilità, privi di riferimenti e soprattutto privi di “contenimento”.
Mi piace pensare che Dio di fronte alla nostra umanità ha sperimentato questo
decentramento e quest’esperienza, non perdendo nulla di sé. Mi azzardo: anche
la mia scelta di vita contemplativa nel quartiere è prima di tutto un’esperienza
di decentramento, così come l’ho descritto sopra, sia nel cuore a cuore con
Dio, sia nelle relazioni quotidiane.
amedeo.angelozzi@tiscali.it |
In questa prospettiva comprendo allora il perché
tante volte provo anche disorientamento, fatica, svuotamento, precarietà,
insieme al senso di apertura, trasformazione, cambiamento e novità, comprendo
meglio il senso dell’essere “contemplativi sulle strade degli uomini” così come
spesso si ripete nelle diverse fraternità di Charles de Foucauld.
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