mercoledì 12 giugno 2013

Giorno dopo giorno

“Il deserto è il luogo dove non si è forzati a scegliere, non c’è nulla da scegliere, perché lì solo il tempo avviene”. Questo è uno dei tanti passaggio che Arturo Paoli pone nel suo libro “la pazienza del nulla”,  dove rilegge il tempo vissuto nel deserto come novizio dei piccoli fratelli, questo testo che ho particolarmente amato in questo ultimo anno mi offre spesso le parole giuste per trovare il senso, il valore e soprattutto la modalità per saper abitare questo quartiere. Ancora un'altra citazione “ la sapienza del maestro dei novizi era di saper perfettamente che l’originalità del deserto consiste nello spogliare o aiutare a spogliare il malcapitato o benvenuto ospite lasciandolo nudo; altri lo vestiranno…” Per alcuni aspetti e con le dovute distinzioni, sento che mi trovo di fronte alle stesse possibilità, l’atto di spogliarmi e liberarmi da “indumenti” pesanti e inutili, è necessario per poter essere presente nelle realtà di emarginazione, non dico per comprendere, quanto almeno  per  incominciare ad avvicinarle. Più vado avanti e più mi è chiaro che non ho ancora compreso nulla delle diversità e delle mille sfumature presenti in quest’ambiente, di giorno in giorno scopro delle novità, entro in contatto con qualcuno, mi accorgo di storie o fatti non positivi, e ogni volta sono costretto a rivedere il mio pensiero, la mia opinione, l’idea che mi ero fatto o semplicemente costruito di questo o di quello. Per poter abitare come piccolo fratello, questa  parte di umanità, devo passare per lo svuotamento del deserto,  apprendere la “pazienza del nulla” come direbbe appunto Arturo Paoli. Arrivando ad ottobre scorso, portavo con me delle aspettative, delle speranze e perché no anche dei sogni, un atteggiamento  quello del “fare qualcosa” difficile da disinnescare, così il rischio di fraintendere, di semplificare, generalizzare e soprattutto manipolare asseconda dei propri bisogni e delle proprie visioni stereotipate, è fortissimo. L’esperienza di tanti anni in un altro ambiente, in un condominio comunque particolare, mi è stato d’aiuto per apprendere l’arte del saper aspettare.  

Stare in un luogo con semplicità, questo è per me il primo passo da compiere  e ciò significa prima di tutto, vivere il banale e la ripetitività del quotidiano: uscire di casa per la spesa o per il lavoro, trovare il parcheggio, organizzare casa e sistemarla perché mi faccia sentire a mio agio, risolvere le questioni burocratiche del cambio residenza e casa, imparare a conoscere i servizi e le strade, riconoscere ed abituarsi ai rumori e soprattutto lentamente, ma molto lentamente, incominciare ad individuare chi abita nel mio stesso palazzo e chi è di passaggio, utilizzando solo poche parole: “buon giorno!”. Questo non fare, o fare tipico del quotidiano, mi ha permesso di assaporare e scoprire il valore profondo dell’attesa e del tempo che scorre, solo abitando anche questo scorrere lento e ripetitivo dei gesti, mi ha permesso di cogliere di volta in volta tutte le sfumature, prima quelle più colorate, calde, entusiasmanti, ma poi anche quelle più scure, contrastanti, forti e violente. Sono proprio quest’ultime che ultimamente mi mettono in crisi, mi pongono in uno stato di svuotamento, di fronte alle situazioni non semplici o di emarginazione o di disagio e violenza, le parole svaniscono per lasciare il posto ad una profonda sensazione di impotenza, accentuata sicuramente dal fatto che sono qui da solo. Accendendo la radio in questi giorni mi rendo conto come spesso il disagio aumenti ovunque, le notizie di cronaca raccontano di gesti estremi  ed esasperati, la risposta violenta e prepotente viene messa in atto con molta più facilità, tutto questo è innegabile, qui poi lo avverto da vicino. Le idee che nascono nella mia testa, spesso si infrangono desolatamente di fronte al fatto che sono da solo, ma questo sarebbe il minimo, ma soprattutto si infrangono di fronte allo svuotamento che la violenza o il disagio provocano nell’uomo e nella comunità degli uomini. Eppure questo “deserto” non mi ha tolto il desiderio di scoprire che esiste una strada di riscatto, mi sembra di vedere allo stesso tempo sia segni concreti di marginalità che segni altrettanto concreti di vita, ricchezza e speranza.
amedeo.angelozzi@tiscali.it
Forse è proprio questa visione con la “e” ( “questo e quello”, non “questo o quello”) che mi permette ancora oggi di non perdere la positività e di non sentirmi solo, prima di tutto perché da sempre ho sperimentato la mia scelta di celibato come “abitata da Dio”, poi perché queste persone e queste situazioni continuano ad interpellarmi come uomo.


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