La “luce del primo mattino” arriva senza far rumore né annunciando sé stessa, si palesa all’insaputa di chi, immerso nel sonno ancora profondo, non può sapere ciò che accade. La “luce del primo mattino” è in solitaria che evolve e prende vigore, che agisce e rischiara. La “luce del primo mattino” non puoi afferrarla, la puoi solo trovare riflessa in tutto quello che lei non è, ma illumina; rende presente, ma non sé stessa; accarezza tutto ciò che esiste e diventando un tutt’uno, lei scivola in secondo piano. La “luce del primo mattino” è una solitudine, una mancanza, una nostalgia che cerca qualcuno su cui poter riverberare. L’incontro è il suo esistere, la “mancanza” è la sua possibilità. La “luce del primo mattino” è decisa e determinata, raggiunge ogni angolo oscuro, ogni stradina tortuosa, ogni piega che nasconde; non rivela, ma svela, toglie, libera, rende possibile lo sguardo, prende per mano e dipana la paura del buio.
Sento il bisogno di essere preso per mano da chi è come questa “luce del mattino”, ed essere anche costretto ad uscire allo scoperto, di non restare troppo comodo nella mia vita; ho profonda nostalgia delle domande scomode, dei sogni sgangherati e con tinte emotive forti, di quei sogni con orizzonti rivoluzionari anche un po’ fantasiosi, come quelli che mi furono donati in piena giovinezza, mi fu insegnato a sognare con gli altri e spesso a sognare anche per gli altri. Sento un vitale desiderio di incontrare nuovamente donne profetiche e uomini coraggiosi, che sanno coniare parole come ponti, che sanno perdersi nel rischio di un incontro, guardano gli altri negli occhi per un ascolto più profondo, sanno che lo sguardo è solo il primo passo, per essere accolti nel mistero dell’altro. E si avventurano a mani aperte.
Vorrei non aver paura
dell’inquietudine che provo di fronte al vuoto culturale e di senso che si
palesa nel nostro mondo, della violenza che continua a confondere e inquinare
il pensiero, per distruggere ogni senso di appartenenza reciproca; vorrei
rimanere lucido, stabile, serenamente in contrapposizione e decisamente
resistente, verso chi invita cinicamente a riprendere in considerazione una
“mentalità di guerra”, questa visione è la prima arma davvero subdola e potente.
Non vorrei cadere al torpore dell’indifferenza, alla palude della distanza, al
freddo di chi “basta a sé stesso”.
Mi sono preso giorni di solitudine quest’anno, mi sono avventurato nel “deserto” senza sapere cosa realmente potesse accadere, mi sono preso il rischio di “lasciar fare” a Lui, a Dio, che da sempre è per me come la “luce del mattino”. Tra le mani mi ha appoggiato “l’inquietudine”, da tener viva quando rischio di “fare a meno degli altri”, mi ha sussurrato che è più facile trovare la pace interiore e la quiete profonda, molto più difficile è trovare sé stessi nel volto dell’altro, così mi ha offerto un “sorriso” per spingermi in questa seconda avventura. Mi ha mostrato che è molto più forte e rivoluzionario com-promettersi con l’umano, sempre, sempre, sempre.
Una Parola ho ripetuto in queste
settimane, nel cuore a cuore della preghiera, le ho ripetute come soffio
leggero, sulle fatiche mie e di questo mondo, mi hanno nutrito, mi hanno
scomodato, mi hanno forzato a mettermi in moto, te le regalo perché anche in te
possano generare quella sottile, leggera e decisa “luce del mattino”:
“Il Signore consolerà Sion, consolerà le sue rovine.
Ritorneranno la gioia e l’allegria, il ringraziamento, il canto e la musica”. Is 51, 3
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