L’isolamento forzato, la mancanza di contatto fisico che quando
c’è rende l’umano una meraviglia e un prodigio.
Di fronte a tre settimane e più di totale solitudine la
prima resistenza è stata quella di non iper-connettermi, alla ricerca
spasmodica di video, azioni, attività, parole di tutti i generi, confuse e
irrazionalmente messe insieme. Tutto mi è sembrato il tentativo di sfuggire la
paura del nulla.
L’estrema solitudine mi ha disorientato, fatto perdere la
cognizione del tempo, catapultato in un non luogo dove a fatica mi riconoscevo.
Il bisogno fondamentale del volto dell’altro per ritrovarmi, sentire e
umanizzarmi, non poteva trovare la soluzione in uno schermo o video chiamata anzi li sentivo un’illusione
ancora più dilaniante e perniciosa: sono perché sono in contatto con il “mio di
fronte”.
Una debolezza estrema, una vulnerabilità pericolosa, il rischio
di perdersi e non più ritrovarsi.
Eppure…
Non ho voluto sottrarmi a questo, non mi sono limitato alla
superficie del mio sentire o percepire, probabilmente con la testardaggine di
sempre ho voluto assaporare fino in fondo quello che sentivo, la fatica della
mancanza, l’essere nudo di fronte a me stesso….e perdermi.
Una presenza discreta e decisa, un attendermi in fondo e un
abitarmi passo passo, hanno con decisione chiuso i rumori di una società che
per forza e prepotentemente ti impone di riempire il vuoto, ho voluto lasciarli
fuori.
Ma il vuoto c’è, lo si incontra prima o poi, il vuoto va
custodito, amato anche contestato, nel vuoto va fatto risuonare l’urlo e poi
accolto il silenzio.
“Il Signore Dio disse: non è cosa buona che il terrestre sia
solo. Farò per lui un aiuto contro di lui” Gen 2,18
Non so se esagero ma è questo quello che percepisco di
questo tempo, una sorta di esperienza di
ritorno alle origini, nella fatica sperimentata dalla mancanza di contatto il
ritorno ai momenti più importanti delle relazioni vissute e da lì abitarle di
nuovo, senza barriere, sconti e giustificazioni. Accompagnato dalla Tenerezza
infinita, fare verità.
E rimettersi in cammino, con il silenzio che come grembo plasma
di nuovo il terrestre che è in me.
Entro così, a piedi scalzi, in questo tempo particolarissimo
della Pasqua, che mi libera, mi denuda, mi chiede di andare a fondo e all’essenziale…verso
dove? Non so, provo solo a tendere la mano.
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