Mi lasco sfuggire di mano in questo modo, lo sconfinamento
dell’ascolto, passo acconto appena sfiorandolo, all'orizzonte smisurato dell’abbandono,
di cui l’ascolto si nutre senza mai esserne pienamente ed avidamente sazio.
Ascoltare è togliere, semplificare, è fare spazio, è
attendere, è soprattutto fermarsi.
Ascoltare è anche non pretendere, non determinare, né tanto
meno pre-ordinare, l’ascolto sono mani libere con le palme rivolte in alto nell'attesa
di essere raggiunte, o per accogliere e custodire, o per essere afferrate e
strette, comunque raggiunte dalla libertà di un altro mistero.
L’ascolto mi sembra di coglierlo nella sua autenticità,
quando è consapevolezza del non sapere e in questo si dimora pacificato, non
arrabbiato.
L’ascolto è trovare il proprio senso nell'accogliere non nel
decifrare, è sapersi grembo e decidersi di restare grembo, anche ciò che genere
l’ascolto non sei tu, perché ciò che si genera da esso è oltre: l’ascolto
accompagna ciò che sei, oltre il tuo orizzonte limitato e egoico.
L’ascolto mi rende interlocutore, decentrandomi dall'essere
soggetto o oggetto in assoluto; l’ascolto mi unifica rendendomi capace di
abitare la dimensione del “due”.
L’ascolto mi fa lentamente liberare dall’arroccamento e
dalla pretesa di essere al “centro” ,
facendomi gustare la pienezza dell’essere semplicemente “a fianco” .
Tra le parole e le opinioni urlate nel nostro contesto, per uno scampolo di riconoscimento, l’ascolto è la grande provocazione di questo tempo storico e
culturale…
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