È un viaggio non sempre facile quello che ognuno di noi compie, alla ricerca di un “sé” che si senta finalmente a casa; vaghiamo per avvistare un approdo sicuro, un porto calmo, o semplicemente delle braccia accoglienti. Nasciamo dentro un “noi” e la sua nostalgia muove la rotta, quel “ noi” che ci fa da luogo caldo, che ci mette al riparo dal freddo della solitudine o peggio dall’idea che possiamo bastare a noi stessi. È il desiderio profondo di quel ritrovarci dentro un intreccio di relazioni, che muove e genera vita al nostro continuo evolvere, come nomadi.
“Siamo figli
di un pastore errante” ci ricorda per questo la Sacra Scrittura, di
quell’Abramo che con lo sguardo rivolto alle stelle, dove Dio lo aveva invitato
a scorgere la moltitudine che avrebbe generato, si fidò del desiderio instillato da quella relazione,
contemplò la sfida della vita nomade, rinunciò ad uno “sguardo” ridotto e piegato
su sé stesso e al proprio piccolo
territorio, per scorgere che la vita è sconfinamento.
Sono queste le suggestioni e i pensieri che affiorano in questo tempo dedicato a scorgere le tracce di venticinque anni di vita in alleanza con Dio nello stile di Nazareth, me ne sono accorto per caso eppure il tempo è trascorso; sono stato preso dalla meraviglia, dall’incredulità e da una profonda gratitudine. E’ tempo di guardare ancora alla strada da compiere, senza indugiare troppo nella retorica dei ricordi. Il tratto, che fino ad oggi ho percorso, mi consegna una piccola mappa, dove non sono segnati i luoghi o definite le strade, quanto piuttosto è una mappa delle piccole scoperte, delle “parole” consegnate, degli sguardi intrecciati, delle occasioni perse, delle sterzate improvvise. E’ una “mappa” che si deve necessariamente ascoltare e in silenzio. E l’ascolto, a volte, ferisce e cura allo stesso tempo.
Oltre ad
Abramo c’è anche una donna che oggi si fa compagna di questo errare, è Maria Maddalena.
Il suo sguardo è piegato verso il basso,
è irretito da un sepolcro; trattiene per amore, ma in realtà blocca, toglie
vita, aria e respiro. Cerca, ma non trova; scorge, ma è miope il suo vedere;
vuole ancora incontrare, ma è in balia
del “possedere” , per questo
probabilmente non riconosce, non sa dare un nome, a chi interloquisce con lei.
“Non trattenermi”,
questa richiesta improvvisa risuona nell’intimo di Maddalena quando sente
pronunciare il suo nome. L’amore smisuratamente gratuito, lo sguardo che sa
scendere e raggiungerti in profondità, sa dare un nome; non lo balbetta e non procede per tentativi: ti raggiunge immediatamente e ti
riconsegna alla vita piena. Solo il Risorto può tanto e così in profondità.
Emerge lentamente e con decisione il bisogno di fermarmi, nella fretta non si può cogliere nulla, al massimo si sorvola, si resta molto in superficie, ma fermarmi non è sinonimo di isolarmi, non vuol dire recedere, né tagliare e ancor meno prendere le distanze. E’ l’invito deciso a sostare nelle relazioni, è il lasciarsi raggiungere, toccare, spogliarsi, accarezzare, tutti verbi che indicano che è salutare smettere di essere l’artefice unico di ciò che accade.